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Segretariato Generale della Missione MCCJ

A Means of Communion and Sharing on Evangelisation and Mission

Il Patto delle Catacombe

Il Patto delle Catacombe
Il Patto delle CatacombeIl Patto delle Catacombe
Il Patto delle CatacombeIl Patto delle Catacombe
In occasione del 50° anniversario del Patto delle Catacombe (1965-2015), l'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana di Roma ha ospitato, sabato 14 novembre, un seminario dal titolo “Una Chiesa povera per i poveri”. Tra i relatori il professor Alberto Melloni, uno degli storici del Concilio Vaticano II, Jon Sobrino, teologo gesuita, professore all'Università Centroamericana di El Salvador, Raniero La Valle, giornalista ed esperto del Concilio e mons. Luigi Bettazzi, unico padre conciliare italiano ancora vivente e vescovo emerito di Ivrea, nonché uno dei firmatari del Patto delle Catacombe.
Il Patto delle Catacombe è l’impegno sottoscritto da un gruppo di 39 vescovi partecipanti al Concilio Vaticano II di vivere la vita semplice della gente, rinunciare ad ogni forma di potere, di ricchezza e di privilegio: “Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione,  l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende”, “Rinunciamo per sempre agli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti)”, “Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca .  Un impegno storico e altamente profetico a quel tempo.
I Vescovi che si trovarono il 16 novembre del 1965 nelle catacombe di S. Domitilla a Roma – tra cui, oltre a Luigi Bettazzi, figuravano personalità quali Helder Camara, Leonidas Proaño, Antonio Fragoso,  José Maria Pires – erano parte di un gruppo informale che si riuniva nel Collegio belga dal 1962 intorno al tema ‘Chiesa dei Poveri’. Questo gruppo, il cui animatore era Charles M. Himmer, vescovo di Tournai, si ispirava al teologo Paul Gauthier e alla religiosa carmelitana Marie-Thérèse Lescase; il gruppo prese il nome da una frase di papa Giovanni XXIII che nel radiomessaggio dell'11 settembre 1962 a un mese dall’inizio del Concilio dichiarò: “Di fronte ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”.
È per commemorare questo evento – che a quel tempo non ebbe grandi risonanze mediatiche e ripercussioni nella vita della Chiesa – ed evidenziarne il significato per la Chiesa d’oggi che l’universitá Urbaniana ha organizzato questo seminario.
Il tema della povertà della Chiesa, ha sottolineato il prof. A. Melloni nel suo intervento, non era un tema particolarmente avvertito al Concilio Vaticano II, nonostante le insistenze del Card. Lercaro per cui il povero e la povertà della Chiesa avrebbero dovuto essere al centro delle preoccupazioni del Concilio. Il significato rivoluzionario del n. 8 della Lumen Gentium – che parla della Chiesa  come colei che “riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo” – non fu mai citata e portata alle sue logiche conseguenze, ha precisato il prof. Melloni. Anzi, Paolo VI – secondo Mons. Bettazzi ricordando il periodo conciliare – temeva che la questione della povertà avesse delle ricadute politiche (erano i tempi della ‘guerra fredda’ e della paura del comunismo); il Papa però si impegnò a riprendere i suggerimenti di Mons. Lercaro in un secondo momento, dopo l’evento conciliare. Questo impegno avrebbe preso la forma di un’enciclica, la ‘Populorum Progressio’.
È nella Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Medellin nel 1968 dove la povertà della Chiesa ebbe una trattazione articolata e l’azione della Chiesa fu pensata a partire dai poveri nella loro nella loro povertà esistenziale – ha ribadito  il teologo Jon Sobrino; ciò che è importante per la Chiesa oggi, ha fatto notare il teologo di origini basche, è la sua relazione ai poveri nella loro realtà storica: “Il problema storico fondamentale di una Chiesa che si riferisce a Gesù non è il Patto delle Catacombe, né il Vaticano II né Mons. Romero, ma la relazione di questa Chiesa con i poveri reali”.
“Uscire dalle catacombe in cui erano stati relegati i poveri, prima e durante gli anni conciliari” – ha detto Raniero la Valle – è un impegno oggi della Chiesa perché i poveri hanno rilevanza politica e sono strumenti del cambiamento del mondo. L’atteggiamento di Papa Francesco, chiosa l’anziano giornalista, “fa vedere le cose che prima non vedevamo”: i poveri, i rifugiati; davvero è un Papa che “dona la vista ai ciechi”.
Il Patto delle Catacombe – ha affermato il prof. Norbert Arnz – rompe con il patto costantiniano e diventa la chiave ermeneutica della Chiesa: una Chiesa che vuole liberarsi dalla commistione con il potere e il prestigio per una Chiesa povera che lotta per i poveri, una Chiesa a difesa dell’essere umano e della natura. È necessario, peró, superare il Patto – che, nell’intenzione dei firmatari, era un impegno personale dei singoli vescovi per una vita povera con i  poveri – per farlo diventare impegno comune di tutta la Chiesa nella sua scelta preferenziale per i poveri e nel suo modo di essere nella storia.
Il seminario ha anche avuto una parte dedicata alla discussione per gruppi continentali e alla condivisione in aula su come rendere attuale oggi il patto delle Catacombe nella realtà dei vari continenti. Tutti hanno rimarcato come il tema della Chiesa povera sia la via maestra di presenza nel mondo e la scelta preferenziale per i poveri, declinata nei vari contesti, centro della sua azione pastorale; una “Chiesa povera per i poveri” come, appunto, non si stanca di ribadire Papa Francesco.   

 

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